Il gioco d'azzardo nella Roma antica, pur essendo vietato dalla legge e condannato dai moralisti, era molto in voga tra i romani di ogni condizione sociale, e anche tra i legionari.
I giochi più diffusi erano:
- Par et impar
- Capita aut navia
- Astragali
- Dadi
PAR ET IMPAR
Il gioco consisteva nel dover indovinare se il numero di oggetti (ossicini, noci, sassolini) che l'altro giocatore aveva all'interno del suo pugno fosse pari o dispari. Gli spettatori potevano scommettere sul numero tenuti nella mano.
CAPITA AUT NAVIA
Era l'equivalente del nostro "testa o croce". La moneta solitamente utilizzata raffigurava al dritto la testa di Giano Bifronte e una nave al rovescio.
ASTRAGALI
Gli astragali erano solitamente degli ossicini ovini a forma di cubo irregolare con quattro facce, lunghe e strette, irregolari e diverse tra loro.
Il gioco consisteva nel gettare in aria quattro astragali e nello scommettere su come si sarebbero disposti, o, qualora vi fossero incisi dei numeri, nell’indovinare il valore totale delle facce uscite. Ovviamente la combinazione peggiore era 1; 1; 1; 1 (veniva detto il "tiro del cane" o "tiro dell'avvoltoio"), mentre quella migliore era quella che vedeva uscire quattro numeri diversi (detto il "tiro di Venere"). Esistevano già allora i bari e, per rendere loro la vita più difficile, fu reso obbligatorio utilizzare un "fritilus" (un bussolotto semiconico).
DADI
Era il gioco più diffuso. I dadi, chiamati dai romani "tesserae", potevano essere in osso, avorio, ambra ed avevano le 6 facce segnate con i numeri, come oggi. Anche in questo caso si scommetteva sulla somma data dal lancio dei dadi (sempre effettuato con il fritilus.
Questi giochi, erano, come detto, vietati dalla legge fin dall'età repubblicana, ed erano consentiti solo durante le festività dei Saturnalia (feste di fine dicembre in onore del dio Saturno). A controllare il rispetto di tale divieto erano i magistrati "Edili". Ovviamente era possibile per un cittadino denunciarne un altro. Per tale reato la pena più comune consisteva in una multa pari a quattro volte la posta in palio, ma in rari casi si poteva finire in carcere o ai lavori forzati. Ciò nonostante nei retrobottega di locande e taverne si celavano vere e proprie bische clandestine.
Lo storico Svetonio ci dice, non sappiamo però se a ragione o a torto, che l'Imperatore Nerone arrivasse a scommettere anche 400 mila sesterzi a lancio (circa 450 anni di stipendio di un semplice legionario romano).
Fonte: Rielaborazione personale dell'articolo: "La passione per il gioco nell'antica Roma" di Miguel Ángel Novillo López
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