lunedì 7 gennaio 2019

Il dentista dell' antica Roma

Aulo Cornelio Celso era originario della Gallia Narbonense nel 14 a.C.. Fu autore di un'opera in sei libri "De artibus" che trattava di agricoltura, medicina, retorica, filosofia, giurisprudenza e scienza militare. Purtroppo a noi è arrivato solo il trattato "De medicina". Riporto in seguito la traduzione di un brano riguardante odontoiatria.
"Anche certe affezioni della bocca si curano chirurgicamente. In primo luogo i denti talvolta tentennano, ora per la debolezza delle radici ora per l’inconveniente delle gengive rinsecchite. Sia nell’una che nell’altra eventualità, conviene avvicinare alle gengive un ferro incandescente, per toccarle leggermente, senza posarvelo sopra: le gengive cauterizzate, poi, vanno spalmate di miele e sciacquate con vino mescolato a miele; quando le ferite incominciano a ripulirsi, bisogna stemperarvi sopra medicamenti astringenti.
Se però il dente duole e si è presa la decisione di estrarlo perché le cure non servono a niente, bisogna scalzarlo tutt’attorno in modo da staccarne la gengiva; poi bisogna scuoterlo a lungo finché si muova molto. Infatti, finché il dente è infisso saldamente nell’osso, l’estrazione si fa con sommo pericolo e talvolta si sloga addirittura la mascella: tale pericolo è ancora più grave quando si estragga uno dei denti superiori, perché può sconquassare le tempia e gli occhi. Allora bisogna prendere il dente con la mano, se si può, se no, con la tenaglia; e, se è cariato, bisogna prima riempire il foro o con filacce o con piombo ben messo, perché non si spezzi sotto la tenaglia. La tenaglia, poi, va tirata su perpendicolarmente per evitare che, incurvandosi le radici del dente, l’osso spugnoso, in cui il dente è infisso, si spezzi in qualche punto: questo pericolo c’è, soprattutto nei denti corti, che per lo più hanno le radici più lunghe: spesso infatti la tenaglia, quando non riesce ad afferrare il dente o – pur afferrandolo – non riesce ad estrarlo, prende l’osso della gengiva e lo rompe.
Subito poi, quando esce sangue in abbondanza, di qui si capisce che l’osso in qualche punto è stato spezzato: quindi con lo specillo bisogna andare a cercare la scheggia che s’è staccata e tirarla fuori con le pinzette. Se non viene fuori, bisogna fare un’incisione nella gengiva finché si riesca ad afferrare la scheggia mobile: che se a questo non si provvede subito, la mascella esteriormente s’indurisce al punto che il paziente non riesce più ad aprire la bocca: ci si deve mettere sopra un impiastro caldo di farina e di fichi, finché si muova la suppurazione: poi s’incide la gengiva.
Anche la fuoruscita di molto pus è indizio di frattura dell’osso: pertanto anche in tal caso conviene estrarre la scheggia. Talvolta anche, avvenuta la lesione dell’osso, si forma una fenditura che va raschiata. Il dente scheggiato, poi, va raschiato dalla parte dove è nero e sfregato con fiore di rosa tritato, a cui si deve aggiungere una quarta parte di galla e una di mirra, e bisogna tenere a lungo in bocca vino puro. E in tal caso bisogna coprirsi il capo, fare lunghe passeggiate e frizioni alla testa, astenersi dai cibi che danno infiammazione. Ma se qualche dente tentenna per un colpo ricevuto o per altra ragione, va legato con filo d’oro a quelli che sono ben fermi; e occorre tenere in bocca astringenti, per esempio del vino in cui si sia fatta bollire scorza di melagrana o in cui si sia gettata una galla accesa.
Se mai avvenga nei bambini che il nuovo dente nasca prima che il corrispondente dente da latte sia caduto, bisogna ripulire bene bene tutt’attorno il dente destinato a cadere e estrarlo; il nuovo dente va ogni giorno spinto con il dito nel posto che occupava l’altro finché giunga a giusta grandezza. Ogniqualvolta, tolto un dente, sia rimasta la radice, bisogna subito estrarre anche questa con la tenaglia apposita, che in greco si chiama “rhizágra”. 
Le tonsille, poi, che in seguito ad infiammazioni si sono indurite – i Greci le chiamano “antíadi” – e si sono ricoperte di una pellicola, conviene col dito scalzarle tutt’attorno e strapparle: se neppure facendo così si staccano, vanno afferrate con un uncinetto e recise con la lancetta; poi si sciacqui la bocca con aceto e si spalmi la ferita con un emostatico."

Fonte: il testo tradotto dell'estratto è stato preso dal sito della Fondazione Alessandra Graziottin www.fondazionegraziottin.org

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